24 aprile 2018

LA NUTRIZIONE SOSTENIBILE DEL VIGNETO

Nel volume “Norme Tecniche di Produzione Integrata” dell’anno 2017 della Regione Piemonte, nell’introduzione alle pratiche di fertilizzazione sostenibile si legge che “la fertilizzazione delle colture ha l’obiettivo di garantire produzioni di elevata qualità e in quantità economicamente sostenibili, nel rispetto delle esigenze di salvaguardia ambientale, del mantenimento della fertilità e della prevenzione delle avversità. Una conduzione degli interventi di fertilizzazione secondo i criteri sotto indicati, unitamente alla gestione delle successioni… consente di razionalizzare e ridurre complessivamente gli input fertilizzanti rispetto alle normali pratiche agricole”.

 

La Regione Piemonte, attraverso il Settore Fitosanitario, ogni anno pubblica le norme per la difesa, il diserbo e le pratiche agronomiche, tra cui la fertilizzazione, che le aziende agricole aderenti alle operazioni agro climatico ambientali e le aziende che hanno scelto la certificazione ai sistemi di qualità produzione integrata devono rispettare. Si tratta di aspetti generali, applicabili a ogni coltura e agronomicamente condivisibili non solo nell’ottica di una sostenibilità tecnico ambientale, ma anche per una sostenibilità economica della gestione delle colture. Logicamente il riferimento alla gestione delle successioni non può valere per le colture poliennali, tra cui le colture arboree e la vite.

La razionalizzazione della fertilizzazione della vite, in senso generale, non può non seguire i criteri di sostenibilità previsti dalle norme tecniche di produzione integrata, applicabili in ogni caso in ogni azienda, fatte salve necessità nutrizionali particolari per correggere carenze o manifestazioni di clorosi particolarmente gravi.
Qualsiasi produzione è frutto di un’interazione tra vari fattori: pianta, terreno, clima. Nel caso specifico della vite questa interazione viene resa ancor più importante dalla necessità di consentire ai differenti vitigni l’espressione più naturale delle loro attitudini qualitative che dall’uva vengono trasmesse al vino. E il tutto declinato per in ciascun ambiente di produzione; un aspetto, questo, particolarmente importante per differenziare l’aspetto qualitativo di vini ottenuti con lo stesso vitigno in ambienti diversi.

Per questo nel vigneto ove si vuole produrre uva destinata a vini di qualità, la concimazione non deve prevaricare la varietà, costringendo le viti a produzioni “innaturali”, ma deve assecondarne le caratteristiche e consentire al vignaiolo il raggiungimento degli obiettivi che si pone.
Per poter consentire alla vite di produrre sia in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, occorre prima di tutto conoscere il terreno su cui si impianta il vigneto, e non solo per una concimazione di fondo, ma anche per la scelta del portinnesto.
Lo strumento inizialmente indispensabile è quindi rappresentato dalle analisi del suolo, che non devono limitarsi alla determinazione dei principali elementi della fertilità quali i classici azoto (N), fosforo (P) e potassio (K), ma estendersi ad elementi quali ferro (Fe), boro (Bo), zolfo (S), calcio (Ca), magnesio (Mn), zinco (Zn), manganese (Mn), solo per citare quelli maggiormente importanti. Inoltre occorre che le analisi misurino la composizione fisica del suolo attraverso la determinazione del contenuto in sabbia, limo e argilla (la “granulometria”) e quella biologica rappresentata dalla sostanza organica. Di fondamentale importanza saranno anche la reazione (acida, alcalina o neutra) del terreno verificata dal pH, la capacità di scambio cationico, che misura la trattenuta degli elementi nutritivi che potranno essere resi disponibili per l’assorbimento, e il rapporto carbonio/azoto che esprime l’attitudine del suolo di mineralizzare o conservare la sostanza organica.

Per i nuovi impianti è importante stabilire questi parametri a due differenti profondità, indicativamente a 30 e 60 cm, salvo il caso di terreni sottoposti a scasso: in questo caso è sufficiente, dato il rimescolamento del terreno, un'unica analisi con prelievo a 60 cm di profondità.
Successivamente, per lo meno ogni 5 anni, è sempre opportuno che i parametri chimici e biologici vengano riverificati, per la sempre più oggettiva definizione dei criteri di concimazione. Questo lasso di tempo deve essere ridotto in caso di manifestazioni di carenze o di clorosi, abbinando l’analisi del terreno alla diagnostica fogliare.
La concimazione di fondo, in pre impianto, deve portare a contatto con gli apparati radicali principalmente sostanza organica, fosforo e potassio, elementi che influenzeranno notevolmente la capacità della vite di affrancarsi e di sviluppare correttamente la parte aerea, oltre a rappresentare un importante “serbatoio” nutrizionale. Fertilizzanti organici (per esempio letami maturi) consentono apporti equilibrati di sostanza organica, azoto, fosforo e potassio e degli altri elementi per  un’ottimale sviluppo degli apparati radicali.
I quantitativi potranno essere modulati in base a molti parametri, quali la profondità del suolo (terreni profondi che consentiranno un maggiore approfondimento dell’apparato radicale richiederanno apporti maggiori), la presenza di scheletro (con apporti più limitati), la dotazione di elementi nutritivi e di sostanza organica in base alle analisi del suolo.

Mediamente, in caso di dotazione del suolo normali, un apporto di 150/250 kg all’ettaro di fosforo e di 350/400 kg all’ettaro di potassio sono sufficienti come concimazione di fondo, apporto raggiungibile con circa 400 q.li all’ettaro di letame bovino. E’ opportuno dimezzare queste dosi nel caso di elevate dotazioni fosfo/potassiche nel suolo.
Non si deve dimenticare che per favorire l’attecchimento delle barbatelle sarebbe opportuno localizzare fertilizzanti organici all’impianto e nel seguito delle fasi di allevamento, periodo in cui le giovani viti si devono insediare stabilmente nel terreno, concimazioni localizzate leggermente interrate con fertilizzanti complessi che con fosforo, potassio e gli altri elementi, apportino anche frazioni azotate. Con la concimazione di allevamento sarebbe opportuno intervenire alla ripresa vegetativa e a fine estate con interventi frazionati, se le condizioni climatiche lo consentono.
Dopo l’impianto e il successivo periodo di allevamento, in cui la vite si “forma” e non è ancora produttiva, periodo che si tende sempre più a ridurre, non sempre a favore della più corretta gestione dell’impianto, finalmente la vite passa con rapida gradualità, alla fase produttiva.
Qui la concimazione assume l’importanza di programmare la produzione con la finalità di ottenere livelli qualitativi e quantitativi ottimali. Naturalmente non è solo la concimazione a consentire il raggiungimento degli obiettivi produttivi, cui concorrono anche potatura, eventuali malattie e infestazioni e andamento climatico (gelate, siccità); ma la concimazione, principalmente quella azotata, specialmente se sbilanciata, può interferire con gli altri parametri che condizionano la produttività del vigneto in modo sostanziale, favorendo il lussureggiamento vegetativo della vite e il raggiungimento di notevoli livelli quantitativi, ma a scapito di produzioni di elevata qualità.
Le dosi di fertilizzante negli anni di produttività del vigneto variano a seconda del vitigno, delle dotazioni del terreno (ecco l’importanza di non limitare le analisi del suolo alla definizione della concimazione di fondo, ma da estenderle anche per la definizione della concimazione di produzione), dal portinnesto, dal pH, etc.
Generalmente la concimazione di produzione viene effettuata nell’autunno, dopo la vendemmia: è una fase di intensa attività di assorbimento radicale durante la quale la vite “fa scorta” di elementi nutritivi che utilizzerà nella successiva primavera. L’apporto può consistere in fertilizzanti organici o misto organici, specialmente se il terreno è povero di sostanza organica (ecco l’importanza ancora delle analisi).
Successivamente alla ripresa vegetativa per favorire lo sviluppo vegetativo e la fioritura, specialmente nel caso di terreni maggiormente sciolti, potrebbe essere importante un non eccessivo apporto azotato.

Il totale dell’apporto azotato, lungo tutto l’arco dell’anno, sommando apporti autunnali a quelli eventuali primaverili, può assestarsi tra 30 e 60 kg di azoto all’ettaro, scegliendo forme azotate non a pronto effetto che potrebbero provocare maggiori richieste idriche. Apporti principalmente autunnali di 30/40 unità di fosforo e di 90/120 unità di potassio possono garantire un equilibrio nutrizionale nella vite.
Le modalità distributive e le dosi descritte sono compatibili con l’adesione dei viticoltori all’operazione 10.1.1 del PSR 214/2020; queste aziende devono però rispettare l’obbligo di inerbimento del terreno nel periodo autunnale e invernale (limitatamente per la presente campagna agraria applicabile a filari alterni per le note problematiche legate al lunghissimo periodo siccitoso) con possibilità di interramento localizzato dei fertilizzanti.
Infine, un accenno alla concimazione fogliare, metodo, quest’ultimo che consente interventi a correzione di carenze nutrizionali, o per rispondere a severi stress che limitino l’assorbimento radicale (siccità). Importante appare la concimazione fogliare con particolari formulazioni di boro che consentono di intervenire nei processi riproduttivi, migliorando la formazione del grappolo e riducendo i fenomeni di acinellatura. Per la concimazione fogliare occorre utilizzare fertilizzanti solubili, in forma assimilabile dagli apparati fogliari.

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